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Per tutti i tre millenni della sua esistenza, Segesta si inserisce con un ruolo di grande rilevanza nella storia della Sicilia antica. Segesta (o Egesta) era la città più importante degli Elimi, un popolo sconosciuto la cui area geopolitica si estendeva in tutta l'area nord-occidentale della Sicilia. Oltre a Segesta, gli Elimi avevano fondato anche Erice (la città sacra), Entella ed altri centri minori. Su questo popolo si conosce ben poco. Di certo non appartenne in origine a nessuna delle tre maggiori civiltà antiche dell'Isola: quella sicana, quella fenicia e quella greca.
Sembra che fosse una popolazione risultata dalla fusione di indigeni Sicani e di immigrati provenienti dalla Focea o dall'Anatolia (regioni dell'Asia Minore) ai quali, in periodi successivi, si aggiunsero altri gruppi provenienti dalla Grecia. Secondo alcuni storici antichi furono dei profughi troiani ad approdare alla coste trapanesi durante la lunga ricerca di una nuova patria. Quì, avendo trovato il posto ideale dove fare rifiorire la loro civiltà, si insediarono fondendosi alle popolazioni locali.
Segesta assimilò presto la cultura greca. I ritrovamenti di vasellame con decorazioni tipicamente greche, i resti di sicura influenza dorica rinvenuti all'interno del santuario di Mango, le iscrizioni in lingua elima ma con caratteri greci sulle terrecotte e sulle monete segestane sono prova della profonda ellenizzazione della città. Tuttavia Segesta fu la grande nemica di Selinunte, forse la più grande ed importante città greca della Sicilia, che tentava di conquistarsi uno sbocco sul Tirreno nell'area del golfo di Castellammare.
La guerra tra le due città iniziò intorno al 580 a.C. con ripetuti sconfinamenti dei Selinuntini in territorio nemico. Con il susseguirsi degli eventi la guerra coinvolse tutta la Sicilia: quando, nel 416 a.C., Selinunte si alleò con Siracusa, i Segestani chiesero aiuto ad Atene che, sperando di estendere il suo dominio sul Mediterraneo, intervenne nel conflitto con l'invio della flotta e dell'esercito. Siracusa, assediata resistette per due anni dall'esercito ateniese e, grazie all'intervento di Sparta che venne in suo aiuto, nel 413 a.C. uscì vittoriosa. Successivamente Segesta cercò l'aiuto di Cartagine che intervenne temendo che l'espansione di Selinunte avrebbe potuto deteriorare gli equilibri politico-militari in questa parte della Sicilia. Nel 409 a.C. i Cartaginesi, assieme all'esercito di Segesta, distrussero Selinunte, poi Gela, Imera e Camarina e, infine, nel 406, anche Agrigento. Ma la vittoria cartaginese segnò l'inizio del declino di Segesta che, ridotta ormai ad avamposto punico, perse, di fatto, la sua indipendenza politica. I secoli successivi sono segnati da fatti che testimoniano il progressivo declino politico e militare di Segesta. Nel 397 a.C. durante la spedizione di conquista della Sicilia occidentale, la città fu assediata da Dionisio di Siracusa.
Nel 339, dopo la famosa battaglia del Crimiso (l'attuale Fiume Freddo) che vide vittoriosi i Siracusani guidati da Timoleonte contro Asdrubale ed Amilcare alla testa dei Cartaginesi, Segesta si alleò con Agatocle di Siracusa.
Ma costui, per vendicarsi dello scarso contributo dato nella guerra contro Cartagine, dopo averne ucciso gli abitanti tra atroci torture, la distrusse in un solo giorno cambiandone il nome in Diceopoli (cioè città della giustizia) eleggendola a domicilio dei disertori e deportandone i giovani e le donne che furono venduti come schiavi ai Bruzzi. In seguito, essendosi di nuovo alleata con Cartagine, fu da questa assediata ed espoliata dei beni per punire i Segestani che avevano aiutato Pirro nel 269 a.C. La I guerra punica vede Segesta fedele alleata di Roma. Grazie al suo scalo marittimo la città era divenuta una importante base strategica per Roma che, in nome della leggendaria origine troiana che accumunava le due città, riservò ai segestani un trattamento di riguardo: elesse Segesta "civitas libera et immunis" esimendola dal pagamento dei tributi. Nel 104 a.C. le rivolte degli schiavi in Sicilia, le cosiddette guerre servili che culminarono soffocate nel sangue nel 99 a.C., iniziarono proprio da Segesta sotto la guida di Atenione.
Non esistono notizie certe ma sembra che la città sia stata distrutta definitivamente dai Vandali nel V secolo. In seguito vi persistette un piccolo insediamento e dopo la cacciata degli Arabi, i Normanni vi edificarono un grande castello - poi ampliato in epoca sveva - che costituì il centro di un borgo medievale. In seguito se ne perse quasi il nome fino a quando, nel 1574, lo storico domenicano Tommaso Fazello, a cui si deve la identificazione dell'80 % delle città antiche della Sicilia, ne localizzò il sito.
Le ricerche archeologiche non sono ancora arrivate a ricostruire la città che si estendeva sulle pendici del monte Barbaro ed era racchiusa da due differenti cinte di mura risalenti ad altrettante epoche. Il tempio, edificato su un rilievo all'esterno delle mura alla fine del V secolo a.C., è uno dei più importanti esempi di stile dorico a noi pervenuti. A molti studiosi esso appare incompiuto: mancano infatti le scanalature delle colonne e non vi è traccia della cella all'interno. Altri, invece, sono convinti che l'edificio sia finito così come si è conservato e che fosse un luogo di culto in cui, secondo gli usi dei popoli orientali dai quali gli Elimi discendevano, si celebravano riti all'aperto su un'altare provvisorio. Il tempio, per l'eleganza dello stile, esprime l'avanzato livello di civiltà raggiunto. Lo stile si accosta ai canoni del dorico greco. Le trentasei colonne che formano il peristilio poggiano su uno stilobate che misura m 61,15 x 26,25.
Sono alte, con il capitello, m 9,36 ed hanno un diametro alla base di m 1,95 e, alla parte alta, di m 1,56; sono distanti tra loro m 2,40 e reggono ancora la trabeazione, a metope piane, alta m 3,58 e i frontoni delle due facciate. Il tempio va contemplato nell'imponente armonicità delle sue proporzioni. Armonicità che si coglie già quando esso appare da lontano nel mezzo del paesaggio, e quando, arrivati sotto le colonne, vi si accede all'interno cogliendo l'indescrivibile sensazione di unicità del luogo.
Percorrendo il sentiero che sale verso il teatro attraversando quella che era l'antica città, si possono osservare, sulla destra, i resti di una grande torre quadrangolare che fiancheggiava una delle porte; più lontano, a sinistra, i ruderi di un'altra torre dalla quale è possibile seguire i resti delle mura più antiche. Più in alto si incontrano i resti della seconda cinta muraria (nella quale sono impiegati materiali sottratti a costruzioni preesistenti), che cingeva l'abitato, già ristretto posteriore alla distruzione della città ad opera di Agatocle (307 a.C.). Lungo i fianchi della strada l'occhio attento può notare per tutto il percorso numerose tracce di edifici, alcuni dei quali sicuramente importanti. Si trovano, inoltre, parte di una strada lastricata in una zona che doveva essere al centro della vita sociale di Segesta e una interessante casa del periodo romano quasi interamente portata alla luce. Infine, su una delle due acropoli, dove è stata identificata l'ubicazione dell'Agorà, sono visibili i resti di una chiesetta monoabsidata del XV secolo dedicata a S. Leone e del castello normanno. La costruzione del teatro si fa risalire alla seconda metà del III secolo a.C. Si trova all'interno delle mura della città, proprio sulla sommità del monte Barbaro in una posizione da cui si gode la splendida vista del paesaggio sottostante.
La cavea è contenuta in un semicerchio di 63 metri ed è formata da sette cunei con le gradinate inferiori completamente scavate nella roccia. La scena, di cui rimangono solo le tracce, doveva essere riccamente decorata con colonne e pilastri. In epoca romana fu rimaneggiato ed abbellito conservando la struttura originale dell'orchestra che permetteva agli attori di presentarsi sulla scena all'improvviso attraverso un passaggio sotterraneo.
Durante gli scavi del 1927 sono stati rinvenuti sotto la scena e sotto la cavea i resti di un edificio, forse religioso, databile intorno al X-IX secolo a.C. e l'ingresso di una grotta nella quale si è trovato abbondante materiale preistorico e di epoche successive. Ai piedi del monte Barbaro, in contrada Mango gli scavi del 1967 hanno portato alla luce i resti di un "santuario" di età arcaica cinto da un grande muro rettangolare di massi squadrati. All'interno di esso si sono scoperti i resti di uno o più edifici dorici costruiti tra il VI e il V secolo a.C.. Anche se le operazioni di scavo stanno riportando alla luce reperti di grandissima importanza, per molti aspetti Segesta è ancora una città sconosciuta. Il monte Barbaro custodisce da secoli i segreti di una civiltà che tanta importanza ha avuto nella storia della Sicilia e di tutta l'area del mediterraneo. Segreti che, una volta svelati, potranno far luce su misterioso popolo degli Elimi.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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